Creare un trust, come noto, è un’operazione che permette a taluno (il c.d. settlor, creator, grantor, o disponente) di spogliarsi di propri beni (per le ragioni diverse, come metterli al riparo da azioni dei creditori, affidarne la gestione a terzi in propria assenza/incompatibilità, programmare il post mortem, …) disponendo nel contempo quanto al loro utilizzo. L’incaricato della gestione è un terzo fiduciario (il “trustee”), che diviene formalmente proprietario dei beni affidatigli, ma non li confonde con i propri: si tratta di patrimonio c.d. ‘segregato’. Coloro che godono di tale gestione sono identificati come i “beneficiari”. Nello schema base sono quindi tre gli attori: disponente, fiduciario, beneficiari/o, anche se spesso ve n’è un quarto, che supervisiona l’operato del trustee (“protector”).

In Italia, il trust è stato per molto tempo malvisto e assai poco praticato in quanto considerato in conflitto con almeno due assunti principali: il primo, consistente nell’idea di ‘patrimonio’ personale (uno la roba ce l’ha oppure no. Niente vie di mezzo); il secondo, relativo al divieto di patti successori (gli eredi hanno i loro diritti intangibili ed il morituro non può disporre al riguardo)[1].

L’adesione dell’Italia alla convenzione de L’Aja del 01/07/1985 sulla legge applicabile ai trusts ed il loro riconoscimento, ha aperto però le porte, dall’inizio degli anni ’90, all’utilizzo di questo (antico) strumento (v. qui https://www.lexmill.com/fidarsi-e-bene-non-fidarsi-la-sentenza-565-21-del-tribunale-di-lodi-in-tema-di-trust), che oggi comincia ad essere conosciuto ed apprezzato.

Superate le obiezioni sopra citate[2], il trust ha cominciato a diffondersi creando anche un mercato in cui i servizi di trustee e protector sonno offerti da soggetti specializzati. Parallelamente, il trust ha cominciato ad essere oggetto di attenzione da parte dei giudici, soprattutto nei casi in cui il trustee non si comportava come doveva, o terzi si sentivano danneggiati dall’operazione.

Una questione particolare che si pone è: può il settlor far marcia indietro? Intendiamo, cancellare l’operazione e ritornare nella piena proprietà e disponibilità dei beni precedentemente conferiti in trust?

Di fatto, le cose nella vita cambiano. Le esigenze di oggi non sono quelle di domani, quindi un ripensamento di tal genere è perfettamente ipotizzabile e umanamente comprensibile. Ma è permesso dalla normativa?

La risposta dovrebbe essere positiva. Intanto ricordiamo che l’Italia è impegnata a riconoscere i trusts regolati da legge straniera e che molte leggi sul trust, appunto straniere, permettono espressamente che il settlor possa ‘revocare’ un trust, a condizione tale eventualità sia stata prevista nel relativo atto costitutivo (così la legge inglese, quella di Jersey o dell’Ontario) ovvero il contrario, cioè che la revoca sia sempre possibile a meno che non sia interdetta dall’atto istitutivo (così la sec. 602(a) dello Uniform Trust Code US). In entrambe le ipotesi, il trust cessa con efficacia ex nunc (cioè rimanendo salvo quanto sino al momento avvenuto) ed il trustee deve ritrasferire i beni al settlor.

Il problema semmai è fiscale: l’Erario infatti, altrove, come da noi[3], tende a considerare i beni conferiti in un trust revocabile come mai usciti dalla sfera di disponibilità del settlor. Un non-trust, insomma, o un trust simulato, anche alla luce del fatto che la stessa convenzione del L’Aja (art. 2) richiede una “definitiva perdita di controllo” dei beni conferiti. E con i creditori: un trust revocabile, infatti, si considera inidoneo a segregare i beni conferiti dal patrimonio del settlor. La conseguenza è che i creditori di questi possono attaccarli, senza che l’esistenza del trust possa fungere da ombrello protettivo.

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La distinzione fra trust revocabili e irrevocabili, posta in questi termini, risulta però di poco aiuto nell’ipotesi considerata all’inizio, cioè di trust genuinamente creati per resistere nel tempo, ma che necessitano di essere adeguati alle mutate circostanze.

by Chris for Flickr, 2008

Una risposta potrebbe essere offerta dalla possibilità di modifica di trust irrevocabili. In tal senso, ad esempio, si stanno muovendo la Uniform Law Commission statunitense, che ha predisposto la model law Uniform Trust Decanting Act (UTDA 2018). Questa prevede la possibilità che il trustee di trust irrevocabile (e in certi casi anche trust revocabili condizionatamente) possa modificare le modalità di sua gestione o anche trasferire i beni (“decantarli”) ad un altro trust, rispondente alle mutate esigenze. Il tutto in linea con gli intenti originari del settlor.

Questa è la situazione dell’adozione del UTDA a livello statale.

 

 

 

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[1] L’assunto implicito presupponeva la creazione di trusts per beni di valore consistente, dimenticando che il trust tradizionalmente copre anche le ipotesi correnti che da noi rientrano nella fattispecie del deposito o del comodato.

[2] Quanto al divieto di patti successori, la Cassazione SS.UU. (ord. 18831 del 12/07/2019) ha recisamente negato che la costituzione di un trust sia atto “a causa di morte”, potendo al più configurarsi come donazione indiretta (lecita). Quanto alla segregazione di taluni beni dal proprio patrimonio, l’operazione di per sé è lecita (si pensi alla creazione di una società unipersonale) ed i casi patologici in danno ai creditori vanno gestiti con lo strumento della revocatoria.

[3] V. la circolare dell’Agenzia delle Entrate n 48/E del 06/08/2007.

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Author: Carlo Mosca

A lawyer specializing in international commercial transactions. Lexmill's founding partner.

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